La ferocia del maniaco dell’ascensore
Graziano Cetara e Matteo Indice
Daniela stava pregando e lui l’ha guardata: «È inutile che lo fai, adesso toccami sotto». La vera storia del maniaco Edgar Bianchi è una sequenza agghiacciante di bambine sequestrate negli ascensori, costrette a inginocchiarsi con due coltelli puntati alla gola, ferite a calci e pugni, trascinate per i capelli, minacciate di morte se non avessero assecondato le sue voglie. Undici violenze, secondo il giudice che l’ha condannato e ieri ha depositato le motivazioni della sentenza, «sono gravissime», il resto comunque inquietante. Daniela aveva 11 anni, quando l’ex barman genovese la violentò nonostante la bimba lo implorasse piangendo.
La bimba è una delle 25 vittime di Edgar Bianchi, il bruto che dal marzo 2004 all’agosto 2006 ha pedinato e aggredito ragazzine in tutta la città. Condannato a 14 anni e 8 mesi, sulla vera entità delle sue azioni non si è mai saputo (praticamente) nulla. E soltanto oggi è possibile ricostruire cosa fu realmente l’incubo del violentatore seriale, attraverso le 55 pagine di motivazione della sentenza depositate ieri mattina in tribunale dal giudice Adriana Petri. «Non erano molestie - scrive il magistrato - ma fatti di estrema gravità, commessi a danno di bambine e adolescenti».
I PUGNI ALLA TESTA. Il 20 giugno 2005 Chiara, 17 anni, torna alla sua casa di via Amarena (San Fruttuoso), con il bus. Sono le 17,30 e «avvertiva di essere fissata da un uomo che la seguiva fin dentro il portone. Lo sconosciuto riusciva a entrare nell’ascensore e, dopo aver chiuso le porte, premeva il tasto “alt”, gettando la ragazza a terra, minacciandola, ordinandole di tacere e cercando di toccarle il seno. Poiché la minorenne urlava con tutte le sue forze l’uomo la colpiva con pugni alla testa». Chiara continua a gridare, lui bestemmia e le ordina di non farlo. «Arrivato al piano terra riusciva a fuggire». Lei però lo ha graffiato, e le tracce di sangue sulla gonna saranno decisive per incastrarlo.
SEQUESTRATA SOTTO CASA. Francesca ha invece 14 anni, quando racconta dell’incubo vissuto la notte dell’1 ottobre 2005 in via Scarpanto a Pegli. «Il giovane (Edgar Bianchi) si infilava nell’ascensore e prima dell’arrivo al piano azionava il pulsante dello stop. Quindi aggrediva la minorenne puntandole un coltello alla gola, intimandole di non urlare. A quel punto, con una mano a tapparle la bocca, insinuava l’altra sotto la gonna e, tentando di strapparle gli slip, iniziava a toccarla nelle parti intime». Francesca sta per soccombere. «La minore, ormai in debito di ossigeno, riusciva ad allontanare dalla gola il coltello. L’aggressore afferrava allora per i capelli la vittima e la tirava verso il basso: lei, nel cadere, si aggrappava ai capelli del giovane provocandone la caduta a terra». Adesso si stanno picchiando e si feriscono a vicenda. «L’adolescente, dopo aver colpito con un calcio alla tibia l’uomo, riusciva a spingerlo fuori dall’ascensore ma non a farlo ripartire. E lui a quel punto la trascinava nell’androne del corridoio pronunciando la frase “ho voglia”. La quattordicenne riusciva a liberarsi nuovamente della presa e a rientrare nell’ascensore, supplicandolo di lasciarla andare; il ragazzo, dapprima, infilava un piede fra le porte bloccando la chiusura; infine, alla nuova supplica della bambina, si dileguava».
COME UN ANIMALE. Uno dei fatti più gravi in assoluto avviene il 26 gennaio 2006. Lucia ha 17 anni, è appena uscita da scuola ma quelli sono i giorni di nevicate, a Genova. Non può prendere l’autobus, fa un bel pezzo di strada con un’amica e poi si dividono. Ore 14 in via San Martino, quartiere omonimo. «Giugendo nei pressi di casa la ragazza notava per un momento un giovanotto sui 25/30 anni, mai visto prima. La sua attenzione si concentrava tuttavia sulla propria madre, che l’attendeva affacciata alla finestra e le faceva trovare il portone aperto. All’arrivo dell’ascensore il giovane saliva e, arrivati al terzo piano, tentava di baciarla, quindi aveva inizio l’aggressione. Lo sconosciuto tappava la bocca della diciassettenne con una mano, si tirava giù i pantaloni e con la forza la costringeva a un rapporto orale». È fuori di sé, Edgar Bianchi, e i suoi ordini sono perentori. «Diceva “silenzio, silenzio, adesso fai quello che dico io”. Poiché la ragazza smetteva subito l’uomo le intimava di continuare. In seguito l’aggressore riusciva a toccare le parti intime e concludeva il precedente rapporto sessuale».
ALESSIA RANNICCHIATA. Alessia invece ha 13 anni e davanti ai poliziotti della squadra mobile non smette mai di piangere. Si vergogna perché non è riuscita a difendersi e, paralizzata dallo choc, si è messa «in posizione fetale» nell’angolo dell’ascensore, aspettando che lui facesse i suoi comodi nella speranza che l’incubo finisse al più presto. In ordine cronologico è la vittima numero due, 25 novembre 2004, via Jessie Mario a San Fruttuoso. «Attorno alle 15.15, mentre attendeva l’ascensore, si materializzava un giovane mai visto prima, che si poneva in attesa ed entrava con lei. Ad un tratto lo bloccava e la ragazzina, intuito il pericolo, iniziava a urlare. L’uomo le tappava subito la bocca con una mano e le intimava di non parlare, ripetendole che aveva in tasca un coltello. Quindi le ingiungeva di slacciarsi i pantaloni e, al diniego dell’adolescente, iniziava a palpeggiarla tra le gambe approfittando del fatto che si era abbassata per divincolarsi dalla presa. La studentessa, continuando a singhiozzare, si rannicchiava su se stessa supplicando di lasciarla stare; Bianchi le ripeteva di non piangere».
«FUMAVO EROINA E BEVEVO». Interrogato dal gip il 28 settembre 2006 ovvero due giorni dopo l’arresto, il maniaco dell’ascensore, un ex barista cresciuto con il fratello nel quartiere popolare del Cep, prova a scompaginare le carte dicendo di non ricordare granché. E però dagli atti di cui è entrato in possesso Il Secolo XIX emerge un aspetto mai evidenziato con chiarezza finora. Edgar Bianchi certifica, implicitamente, d’essersi trovato spesso in stato di alterazione, «poiché sosteneva di fare uso di stupefacenti di qualsiasi genere: marijuana, cocaina, hashish, eroina fumata, droghe sintetiche, e di bere spesso fuori dal lavoro superalcolici specie prima di andare in discoteca». «In questi anni - sottolinea con una delle sue esternazioni “sadico-narcisistiche” - ho notato delle ragazze solo perché esistono».
SADICO RITUALE. Giulia ha la sfortuna d’essere una delle adolescenti che lui osserva, anche se è poco più che una bambina, iscritta alla terza media. È sabato, il 18 settembre 2005, e lei deve percorrere i trecento metri che la separano da scuola alla casa di Borgoratti, mentre in tavola è già pronto l’antipasto per il pranzo che riunisce l’intera famiglia. «Uno sconosciuto, aperte le porte dell’ascensore mentre la tredicenne era ancora nell’atrio, estraeva dalla tasca destra dei pantaloni due coltelli, con lama in acciaio ed evidente seghettatura e, impugnandoli con entrambe le mani, li portava ai lati del collo della bambina e le ordinava di entrare; quindi pigiava il tasto del piano 5. Partito l’ascensore si slacciava la cintura dei pantaloni e contestualmente premeva lo stop. La cabina tuttavia si rimetteva in moto e scendeva di uno o due piani. Appena si aprivano le porte, l’aggressore faceva posizionare la bimba, terrorizzata, nello spazio immediatamente fuori e le imponeva un rapporto orale (pronunciando frasi oscene che non possono essere riportate, ndr). La vittima si inginocchiava e rimaneva immobile, in preda al panico, mentre l’uomo proseguiva per alcuni secondi». Giulia ripeterà sempre che le sono sembrati «un’eternità». Ma non è ancora finita: «La piccola sentiva che dietro di lei si richiudevano le porte dell’ascensore e a quel punto l’aggressore si fermava, riponeva i coltelli in tasca e scappava. La ragazzina, spaventatissima, risaliva le scale verso la porta di casa, sputando a terra per il senso di schifo provato. Arrivata nel suo appartamento, in lacrime, raccontava tutto alla madre e poi correva in bagno gridando». Per pochi istanti il mostro non viene intercettato. «Il padre della minore arrivava alla sua abitazione e notava la figlia in lacrime. Appreso l’accaduto, si precipitava giù per le scale ma non trovava alcun giovane».
LA FORZA D’UNA BIMBA. La prima vittima che lo ha descritto, fornendone un identikit, è stata anche una delle poche che è riuscita a respingerne gli abusi. La chiamiamo Silvia, e ha undici anni quando il pomeriggio del 19 febbraio 2005 rischia d’essere violentata in via Varese a San Fruttuoso. «Dopo aver citofonato a un’amica, un uomo si introduceva nel portone con lei, la seguiva sino al secondo piano del palazzo e la aggrediva, afferrandola per le spalle e tappandole la bocca, mentre teneva qualcosa di luccicante nell’altra mano. Nonostante la paura, la bambina provava a divincolarsi e tirava un calcio all’indietro, che colpiva l’uomo; riusciva così a liberarsi dalla stretta sul volto e cominciava a urlare».
«VIOLENZE GRAVISSIME». È ancora il giudice Adriana Petri ad alzare, finalmente, il velo sull’incubo del maniaco, facendo capire perché le forze dell’ordine cercarono disperatamente di ridimensionare un allarme evidentemente più che fondato. Sottolinea «la notevole gravità di ogni fatto di violenza sessuale in sé considerato. Si è ampiamente chiarito - insiste - che non erano “molestie” sessuali a danno di minori, come talvolta è emerso in alcune cronache (frutto delle scarne informazioni della polizia, ndr). Tale banalizzazione è inaccettabile, smentita dallo stesso imputato». E quei reati, sentenzia infine, sono semplicemente «gravissimi». Ecco perché la condanna è stata pesante.
Il Secolo IX 10 febbraio 2008
domenica 10 febbraio 2008
Violenza sessuale su minori/La vera storia del maniaco dell'ascensore
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