sabato 15 dicembre 2007

Il caso del missionario trentino in carcere a Gibuti. Il sospetto: ‘’Usato come capro espiatorio’‘

di Barbara Marino/ 15/12/2007

Il missionario trentino don Sandro De Pretis, da più di 40 giorni agli arresti senza un’accusa precisa Gibuti. La magistratura locale parla di pedofilia: per la Chiesa "è ridicolo". Attivate le diplomazie della Farnesina e della Segreteria di Stato.

È in carcere dal 28 ottobre don Sandro De Pretis, 52 anni, dal 1993 sacerdote della diocesi di Trento, missionario nel Gibuti, piccolo stato africano del corno d’Africa. Rischia l’espulsione. "Per la prima volta nella mia vita sono per così dire senza difesa, senza possibilità di agire, radicalmente ‘povero’ e privato della libertà. Ora porto una croce molto pesante e posso solamente aver fiducia in Dio affinché non duri troppo a lungo. Spero possa risultarne un frutto spirituale per me e per altre persone".È un passaggio forte della lettera che don Sandro De Pretis ha inviato, in francese, alla redazione di Vita trentina, dal carcere di Gadobe nei pressi di Gibuti, dove è agli arresti dal 28 ottobre scorso, senza alcuna accusa precisa formalizzata nei suoi confronti: "Tecnicamente, una detenzione preventiva in attesa di giudizio", scrive don Sandro stesso nella sua sofferta lettera. "Da qualche anno io vengo regolarmente alla prigione per visitare i detenuti. Ora è il mio turno di avere delle visite …". Stempera la tensione di 40 giorni di reclusione don Sandro.È destinata a tutti gli amici che "pregano per me" la lettera di don Sandro De Pretis da Gadobe, rinchiuso da solo in una parte del carcere che - nonostante il peso dell’isolamento - egli riesce a valutare come una forma di trattamento di riguardo", perché "gli altri prigionieri devono invece condividere lo stesso locale". "Non so quali erano i sentimenti di San Paolo in prigione - scrive il missionario trentino - ma i miei pensieri sono dominati dall’impressione di quanto sia strano vivere in questa situazione". Sveglia alle 6, visita delle guardie alle 7, la possibilità di qualche visita alle 11 (talvolta lo stesso vescovo Bertin o le suore che - annota don Sandro - "mi procurano il cibo e le bevande"), fino al buio delle 18, quando si corica per non accendere la luce al neon che attira le zanzare. "Io non so come potrei far fronte a questa situazione senza la fede in Dio - continua don Sandro, accennando alla sua lettura dei Salmi - senza la preghiera, senza la coscienza di essere sostenuto dalla preghiera delle altre persone e dall’affetto di quanti mi conoscono. Infine, mi sostiene la coscienza di essere innocente riguardo a tutte le accuse per le quali sono stato portato in prigione". "Nello stesso tempo - precisa - la croce prende un rilievo più profondo".Al momento, le condizioni fisiche e psicologiche di don Sandro non destano preoccupazione. È sì in isolamento (ma questo provvedimento è stato preso a sua tutela), ogni giorno riceve la visita delle suore, che gli portano i pasti. Anche il vescovo del Gibuti, il padovano mons. Giorgio Bertin e i funzionari del Consolato italiano, non appena possono lo vanno a trovare. Sino ad oggi hanno trovato porte aperte e disponibilità.

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