giovedì 13 dicembre 2007

Pedofilia:assolta dopo 17 mesi di carcere

Elena Laudante

A gettare accuse infamanti su una disoccupata è stata la figlia dei vicini di casa

CAGLIARI. Il racconto della bambina era dettagliato: c’erano gli adulti che avevano rapporti sessuali, e lei che, assieme ad altri coetanei, doveva scimmiottare gli attori dei film porno davanti ad una telecamera. La descrizione del teatro degli incontri, la casa della sua vicina (madre dei suoi amichetti) era zeppa di particolari. Anche se i testimoni da lei indicati, di fronte al giudice hanno smentito tutte le accuse. Anche se i testimoni da lei indicati, di fronte al giudice hanno smentito tutte le accuse. Accuse tanto gravi da aver portato A.C. trentanove anni di Carbonia, in custodia cautelare a Buoncammino per 17 mesi, più 6 trascorsi in casa, ai domiciliari. Ieri mattina, il primo collegio del tribunale di Cagliari non ha creduto alla presunta vittima, minore di 14 anni, e ha scagionato A.C. dai reati infamanti di violenza sessuale e sfruttamento di minore: assolta perché il fatto non sussiste. Vedova e disoccupata, A.C. è stata arrestata il 17 luglio del 2004. Qualche settimana prima, la figlia dei suoi vicini si era sfogata con una maestra, rivelando che la donna la costringeva a girare film pornografici, almeno da un anno. Alla vicina, A.C., avevano tolto i figli e così ospitava i loro vecchi amichetti. «Per farli giocare», spiegherà poi il suo legale. Ma secondo una di queste ragazzine, in due occasioni l’avrebbe indotta ad imitare le movenze lascive degli attori hard, in compagnia di altri coetanei che però non hanno confermato gli incontri. Per la piccola, nel frattempo la disoccupata sarebbe stata impegnata a riprendere quelle scene con una videocamera. Un’altra volta, invece, avrebbe invitato altre persone, con le quali si intratteneva in rapporti sessuali, davanti ai minori. Questo ha raccontato la piccola alla maestra, nel maggio 2004. Inorridita, l’insegnante le ha chiesto di scrivere quello che provava in un tema. E lei lo ha fatto con parole molto crude. Quel testo è diventato la prova principale nel processo contro A.C., durato circa un anno. Nel corso di diversi incidenti probatori, se la minore ha ribadito tutto, gli altri bambini - tra i 9 e i 13 anni - hanno negato le violenze e di aver mai partecipato a festini a luci rosse. Così come hanno fatto gli adulti indicati dalla presunta vittima. Secondo il pubblico ministero Gian Carlo Moi, che aveva sollecitato una condanna a sette anni di reclusione, i piccoli testimoni hanno rimosso gli episodi per allontanare l’orrore. A.C., invece, ha rinunciato a spiegare le sue ragioni in aula. «Non faceva che piangere - ha detto il difensore Marco Aste - ho dovuto impedirle di partecipare alle udienze». Nell’arringa il legale ha sostenuto che la bambina ha probabilmente «trasferito in casa dell’imputata fatti che forse avvenivano altrove. E’ stata lei stessa a dire che frequentava altri adulti». Inizialmente, era finito nell’inchiesta anche il marito della disoccupata, un invalido al 100 per cento che trascorreva le sue giornate a letto. La sua posizione è poi stata stralciata. Tra le accuse contestate alla donna c’erano anche minacce e lesioni: sempre secondo la ragazzina, A.C. l’avrebbe obbligata al silenzio a suon di intimidazioni, fino a spegnerle una sigaretta in faccia. Il collegio ha prosciolto l’imputata anche da questi due reati per mancanza di querela. Le motivazioni della sentenza saranno depositate entro 90 giorni.
(21 giugno 2007)

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