domenica 22 giugno 2008

ONU: "STUPRO, ARMA DI GUERRA"

ONU: "STUPRO, ARMA DI GUERRA" 21/06/08
Una storica sentenza del Consiglio di sicurezza rovescia la prospettiva: lo stupro non è un'inevitabile effetto dei conflitti armati, ma un vero e proprio strumento di guerra.
Junko Terao
Sabato 21 Giugno 2008 «In guerra, a volte, è più pericoloso essere una donna che essere un soldato». Marianne Mollman, Human Rights Watch, che ha definito «storica» la risoluzione 1820, che condanna lo stupro come arma di guerra, approvata ieri dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, dice una verità dimostrata dai fatti. Nei conflitti più recenti – a partire dalla ex-Yugoslavia, passando per il Rwanda, la Sierra Leone, la Liberia, la Colombia, il Perù, per arrivare all’Iraq e all’Afghanistan – la violenza su donne e bambine è stata usata sistematicamente come vero e proprio strumento di terrore per punire, umiliare e dominare i civili e distruggere le comunità o i gruppi etnici.Questa risoluzione, proposta dagli Stati uniti, sostenuta da 30 paesi - tra cui l'Italia - e approvata ieri all’unanimità dai 15 membri del Consiglio di sicurezza, segna un cambio di prospettiva fondamentale: lo stupro non è un effetto della guerra, ma un’arma usata da chi la guerra la fa. Una vera e propria tattica bellica, impiegata da criminali rimasti spesso impuniti. Fino ad ora, infatti, la violenza sessuale sulle donne era per lo più considerata come un’ inevitabile, per quanto terribile, conseguenza dei conflitti armati. E’ dall’istituzione dei tribunali criminali internazionali per l’ex-Yugoslavia e per il Rwanda che le cose hanno cominciato a cambiare e molti colpevoli sono stati condannati per l’uso dello stupro come strumento di genocidio, tortura e crimine contro l’umanità.Un rischio, quello a cui sono esposte le donne nelle zone di guerra, che spesso continua anche dopo la fine del conflitto: sono in molte, infatti, a dover subire violenze nei campi profughi o ad essere discriminate nei programmi di ricostruzione. Come in Afghanistan, per esempio, dove la fine della guerra non ha determinato un aumento nella partecipazione delle donne alla vita pubblica. In particolar modo per quelle che vivono fuori dalla capitale, la caduta dei Talebani non ha portato a un miglioramento della loro condizione di sicurezza, e il risultato è la loro esclusione dall’esercizio dei loro diritti fondamentali e dalla ricostruzione del paese. O in Iraq, dove buona parte della popolazione femminile vive ancora segregata in casa per paura delle violenze. Anche per questo, la risoluzione 1325, approvata nel 2000, con cui si riconosceva il ruolo fondamentale delle donne nei processi per la costruzione della pace e della sicurezza, ha avuto diverse carenze nella sua messa in atto.Da allora un gruppo di ong - una ventina di associazioni che si occupano di diritti umani in generale o di violenza contro le donne - ha lavorato sul tema «donne, pace e sicurezza», facendo lobby sui governi perché si arrivasse, ieri, ad un’ approvazione della risoluzione col più ampio consenso possibile. Riccardo Noury, portavoce della sezione italiana di Amnesty International - che faceva parte del gruppo di lavoro – esprime «soddisfazione per il fatto che anche il Consiglio di sicurezza si occupi di un tema già dibattuto in molte sedi, riconoscendo che fermare la vi[/ACM][TXT]olenza sulle donne è fondamentale per la costruzione della pace». Dal punto di vista giuridico non cambierà molto, ma, secondo Noury, «gli effetti della risoluzione si tradurranno - sul piano della prevenzione - in maggiore attenzione sul campo e in un aumento della collaborazione delle ong nel meccanismo di reporting delle violenze registrate alle agenzie dell’Onu». Inoltre, «adesso che l’organo più influente dell’Onu individua lo stupro come tattica di guerra, i governi saranno più condizionati». Nel testo della risoluzione non mancano le ombre, «per esempio – sottolinea Noury – manca l’istituzione di un meccanismo specifico di monitoraggio del fenomeno e di un supervisore speciale», ma nel complesso sono molti i punti che le organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani hanno trovato soddisfacenti: come il riferimento alla necessità del coinvolgimento delle donne, a livello decisionale, nello sviluppo di meccanismi di prevenzione e risoluzione dei conflitti, di mantenimento della pace e della sicurezza e di peace-building a fine conflitto. O la richiesta che il segretario generale Ban Ki-moon stenda, entro il 30 giugno 2009, un rapporto sulle situazioni di conflitto armato in cui la violenza sessuale è stata ampiamente e sistematicamente perpetrata contro i civili. Un documento che contenga, tra le altre cose, delle proposte di strategie per limitare l’esposizione di donne e bambine a tali violenze; che fissi dei riferimenti per misurare i progressi nella prevenzione della violenza sessuale; che fornisca informazioni sulle azioni intraprese dalle parti in causa nei conflitti per rendere effettive le loro responsabilità, in particolare ponendo immediatamente e completamente fine a tutti gli atti di violenza sessuale e prendendo misure appropriate per proteggere donne e bambine. Un’ultimo punto degno di nota è la richiesta di rafforzare la «tolleranza zero» verso gli abusi sessuali da parte del personale Onu, finito in più occasioni sotto accusa. Uscito anche su il manifesto

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