STORIE DI ABUSI E SOPRUSI - In tribunale i terribili retroscena della vicenda che risale a 5 anni fa
Daniela Scano
Il processo a una coppia di Valledoria che ospitava in affidamento la ragazza SASSARI. Stavano a guardare e ridevano. Nella fragile memoria di una ragazza disabile risuonano ancora le risate sconce che accompagnavano un dolore fisico insopportabile. «È stato Book» fu, nel 2003, la sua risposta a chi le chiedeva chi le avesse provocato devastanti lacerazioni intestinali. Book era il cane della coppia alla quale la giovane, anima infantile imprigionata per sempre in un corpo di adulta, era stata affidata insieme al fratello e alla madre. Malati come lei e bisognosi, quanto lei, di assistenza. Un processo sta svelando i retroscena di una storia di abbandono e di soprusi.
Deceduta la madre nelle more della vicenda giudiziaria, cominciata cinque anni fa con la segnalazione alla Procura della Repubblica degli esperti del Cim di Castelsardo, la giovane disabile è una delle due presunte vittime di una coppia di Valledoria che avrebbe commesso abusi sessuali e maltrattamenti insieme con il figlio quindicenne della donna.
Il ragazzo è uscito dalla scena processuale con una sentenza di non imputabilità per vizio totale di mente emessa, qualche tempo fa, dal tribunale per i minorenni. Sarebbe stato lui, secondo le accuse con la complicità della madre trentanovenne e del patrigno settantatreenne, ad aizzare il cane di casa contro la parente malata. Teatro degli abusi, l’abitazione dove la famiglia di disabili viveva sotto osservazione degli assistenti sociali e degli esperti del Cim. Eppure passarono mesi prima che la giovane rivelasse ciò che accadeva tra le mura domestiche: botte, punizioni spietate, docce bollenti al fratello, frustato con il guinzaglio del cane se provava a ribellarsi. «La ragazza parlava dei suoi padroni - ha raccontato una testimone - perché lei e sua madre trascorrevano il tempo occupandosi delle faccende domestiche».
Ieri mattina il collegio giudicante presieduto dal giudice Plinia Azzena (a latere Guido Vecchione e Giuseppe Grotteria) ha ascoltato le deposizioni della psichiatra che ebbe in cura la ragazza dopo la denuncia e la responsabile della comunità protetta dove la giovane disabile vive da quando è stata sottratta alla coppia affidataria. Fu in un ambiente finalmente rasserenante che la giovane trovò il coraggio di descrivere le sevizie subite per mesi insieme con il fratello. Torture fisiche e psicologiche e l’allucinante storia del cane usato come strumento di tortura sessuale. Racconto, ha spiegato ieri la testimone, indirettamente confermato dalle lesioni certificate dai medici che visitarono la ragazza.
La responsabile amministrativa della casa di accoglienza ha detto che, prima di confidarsi, nel dicembre del 2003 la ragazza dovette vincere le resistenze omertose di sua madre. Non si sa se a causa di questa influenza negativa sulla figlia, la donna venne affidata a un altro istituto dove si è spenta qualche tempo fa senza avere mai più rivisto i suoi ragazzi, che vivono separati. I loro interessi vengono curati da un amministratore di sostegno, l’avvocato Vittoria Sechi, che sta seguendo il processo con l’avvocato di parte civile Pietro Piras. La coppia di imputati, enrambi contumaci, è difesa dall’avvocato Ettore Licheri.
Ieri il legale ha controinterrogato le testimoni citate dal pubblico ministero Michele Incani. La psichiatra che curò la ragazza disabile ha detto di avere pensato immediatamente, al momento del ricovero, che la paziente avesse subito abusi sessuali. «Era molto agitata e manifestava disagio nel parlare delle sue esperienze familiari - ha raccontato la dottoressa -. Ricordo che si rivolgeva alle infermiere facendo loro apprezzamenti che, evidentemente, aveva sentito da altri». La psichiatra conosceva, perché era stata ricoverata nel suo reparto, anche la donna che aveva «accolto» la ragazza con la madre e il fratello. Questa situazione della donna non impedì che le venisse affidata dai servizi sociali del paese di residenza una famiglia di disabili mentali.
Daniela Scano
Il processo a una coppia di Valledoria che ospitava in affidamento la ragazza SASSARI. Stavano a guardare e ridevano. Nella fragile memoria di una ragazza disabile risuonano ancora le risate sconce che accompagnavano un dolore fisico insopportabile. «È stato Book» fu, nel 2003, la sua risposta a chi le chiedeva chi le avesse provocato devastanti lacerazioni intestinali. Book era il cane della coppia alla quale la giovane, anima infantile imprigionata per sempre in un corpo di adulta, era stata affidata insieme al fratello e alla madre. Malati come lei e bisognosi, quanto lei, di assistenza. Un processo sta svelando i retroscena di una storia di abbandono e di soprusi.
Deceduta la madre nelle more della vicenda giudiziaria, cominciata cinque anni fa con la segnalazione alla Procura della Repubblica degli esperti del Cim di Castelsardo, la giovane disabile è una delle due presunte vittime di una coppia di Valledoria che avrebbe commesso abusi sessuali e maltrattamenti insieme con il figlio quindicenne della donna.
Il ragazzo è uscito dalla scena processuale con una sentenza di non imputabilità per vizio totale di mente emessa, qualche tempo fa, dal tribunale per i minorenni. Sarebbe stato lui, secondo le accuse con la complicità della madre trentanovenne e del patrigno settantatreenne, ad aizzare il cane di casa contro la parente malata. Teatro degli abusi, l’abitazione dove la famiglia di disabili viveva sotto osservazione degli assistenti sociali e degli esperti del Cim. Eppure passarono mesi prima che la giovane rivelasse ciò che accadeva tra le mura domestiche: botte, punizioni spietate, docce bollenti al fratello, frustato con il guinzaglio del cane se provava a ribellarsi. «La ragazza parlava dei suoi padroni - ha raccontato una testimone - perché lei e sua madre trascorrevano il tempo occupandosi delle faccende domestiche».
Ieri mattina il collegio giudicante presieduto dal giudice Plinia Azzena (a latere Guido Vecchione e Giuseppe Grotteria) ha ascoltato le deposizioni della psichiatra che ebbe in cura la ragazza dopo la denuncia e la responsabile della comunità protetta dove la giovane disabile vive da quando è stata sottratta alla coppia affidataria. Fu in un ambiente finalmente rasserenante che la giovane trovò il coraggio di descrivere le sevizie subite per mesi insieme con il fratello. Torture fisiche e psicologiche e l’allucinante storia del cane usato come strumento di tortura sessuale. Racconto, ha spiegato ieri la testimone, indirettamente confermato dalle lesioni certificate dai medici che visitarono la ragazza.
La responsabile amministrativa della casa di accoglienza ha detto che, prima di confidarsi, nel dicembre del 2003 la ragazza dovette vincere le resistenze omertose di sua madre. Non si sa se a causa di questa influenza negativa sulla figlia, la donna venne affidata a un altro istituto dove si è spenta qualche tempo fa senza avere mai più rivisto i suoi ragazzi, che vivono separati. I loro interessi vengono curati da un amministratore di sostegno, l’avvocato Vittoria Sechi, che sta seguendo il processo con l’avvocato di parte civile Pietro Piras. La coppia di imputati, enrambi contumaci, è difesa dall’avvocato Ettore Licheri.
Ieri il legale ha controinterrogato le testimoni citate dal pubblico ministero Michele Incani. La psichiatra che curò la ragazza disabile ha detto di avere pensato immediatamente, al momento del ricovero, che la paziente avesse subito abusi sessuali. «Era molto agitata e manifestava disagio nel parlare delle sue esperienze familiari - ha raccontato la dottoressa -. Ricordo che si rivolgeva alle infermiere facendo loro apprezzamenti che, evidentemente, aveva sentito da altri». La psichiatra conosceva, perché era stata ricoverata nel suo reparto, anche la donna che aveva «accolto» la ragazza con la madre e il fratello. Questa situazione della donna non impedì che le venisse affidata dai servizi sociali del paese di residenza una famiglia di disabili mentali.
(La Nuova Sardegna 11 giugno 2008)
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