mercoledì 21 maggio 2008

Fermate chi arma la mano dei bambini


“Mi hanno dato una pistola e mi hanno detto: andiamo a combattere i tutsi, perché sono nostri nemici e dobbiamo ucciderne il più possibile”. Un quattordicenne racconta così il suo arruolamento nel movimento hutu delle Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (Fdlr). A guidarlo sono alcuni responsabili del genocidio che ha sconvolto il piccolo paese africano nel 1994 e che ora, dalla vicina Repubblica democratica del Congo, stanno preparando la vendetta contro il governo a maggioranza tutsi di Kigali. Attaccando e saccheggiando, nel frattempo, i villaggi dell’est del Congo. Lo fanno servendosi anche di piccoli profughi e orfani che in molti casi non hanno mai vissuto in Ruanda e vengono semplicemente educati a odiare tutti quelli che appartengono a una diversa etnia. Questi giovanissimi vengono usati, denuncia il nuovo Rapporto globale sui bambini soldato, negli scontri contro le milizie fedeli al comandante congolese e tutsi Laurent Nkunda. Che a loro volta compiono raid nei campi profughi del Ruanda per convincere altri ragazzini, dietro la promessa di un lavoro e di qualche spicciolo, a rientrare nel Kivu (in Congo) devastato dalla guerra e imbracciare le armi.
Decine di migliaia di bambini soldato nel mondo. Secondo la Coalizione “Stop all’uso dei bambini soldato”, che comprende numerose associazioni internazionali e dieci italiane tra le quali Save the Children e Amnesty International Italia, Intersos, Coopi, Alisei, e Telefono Azzurro (rapporto completo e lista delle associazioni su bambinisoldato.it), sono ancora decine di migliaia i bambini che restano nelle file di gruppi armati non governativi in almeno 24 nazioni. E questo nonostante il numero dei conflitti nei quali erano coinvolti sia passato dai 27 del 2004 ai 17 della fine del 2007. Più limitati i progressi sul fronte dei governi che arruolano minorenni, scesi dai 10 del 2004 ai 9 di fine 2007.
Myanmar, Iraq, Ciad, Israele… Il Myanmar (ex Birmania), denuncia il rapporto, si conferma il paese che da più tempo e su più ampia scala si avvale di bambini, alcuni di soli 11 anni, integrati soprattutto nelle truppe governative anti sommossa impegnate contro una serie di gruppi etnici armati. Ragazzini vengono impiegati dagli eserciti di Ciad, Repubblica democratica del Congo, Somalia, Sudan, Uganda e Yemen, ma un’associazione israeliana che si occupa di diritti umani nei territori occupati ha denunciato l’utilizzo da parte delle forze armate di Tel Aviv di ragazzini palestinesi come scudi umani, mentre enorme scalpore ha anche suscitato la decisione della Gran Bretagna di schierare, sebbene per poco tempo, alcuni minorenni tra i soldati impegnati in Iraq.
“Ideali perché non si lamentano”. Come ha dichiarato senza alcuna vergogna a Human Rights Watch un ufficiale dell’esercito nazionale ciadiano “i bambini soldato sono ideali perché non si lamentano, non si aspettano di essere pagati e se dici loro di uccidere, loro uccidono”. Spesso sotto l’effetto di droga o alcol. Numerosi eserciti regolari ricorrono ai bambini come spie e informatori, mentre i piccoli associati a gruppi paramilitari catturati dai governi subiscono maltrattamenti e torture nelle carceri del Burundi, dell’Afghanistan e del Myanmar, ma anche, sottolinea il rapporto in quelle di Israele e Stati Uniti, in particolare Guantanamo.
Proprio le milizie “rappresentano la sfida maggiore” secondo Fosca Nomis, portavoce della Coalizione italiana “Stop all’uso dei bambini soldato”. “Molti di questi gruppi armati non attribuiscono alcun valore agli standard internazionali e il bisogno di crescere e rafforzare i propri contingenti prevale su ogni altra considerazione, prima fra tutte la tutela e la protezione dei bimbi”. In Afghanistan, Pakistan, Iraq e territori occupati adolescenti sono stati perfino impiegati in attacchi suicidi. Troppo scarsi, osserva la Coalizione, i successi ottenuti dai programmi di disarmo, smobilitazione e reinserimento (Ddr), pensati per gli adulti ed estesi nel 1997 anche ai bambini: mancano i finanziamenti e un supporto di lungo periodo per gli ex bambini soldati, che per superare le atrocità vissute e commesse hanno bisogno di moltissimo tempo.


Bambine soldato. Le più penalizzate sono le bambine, spesso ridotte al rango di schiave, vittime di abusi e violenze sessuali e costrette a volte a fare le mogli dei soldati. Come Ester, 14 anni che adesso è ospite del campo di Gusco in Uganda, sostenuto da Save The Children. A causa della guerra nel nord del paese i sistema sanitario e scolastico sono collassati costringendo un milione di bambini a vivere nei campi per sfollati: in uno di questi Ester è stata rapita in pieno giorno e costretta a lavorare per i ribelli. È stata fortunata, dopo due mesi ha potuto scappare e ora sogna soltanto di tornare a scuola. La maggior parte delle bambine soldato, rivela il Rapporto globale, non viene identificata e registrata nei programmi ufficiali di smobilitazione, a cui si stima accedano a malapena il 15 per cento delle vittime. Le altre tentano un difficile ritorno in famiglia, o nella comunità di origine con tutto il peso dei problemi medici (molte sono affette da malattie sessualmente trasmissibili), psicologici, ed economici, con figli nati dalla violenza di cui prendersi cura, tra i pregiudizi e le ostilità della gente. L’unico modo per impedire che ci siano ancora bambini costretti a combattere secondo il rapporto è eliminare le possibilità di reclutamento. A partire dalla scuola: spesso nei paesi più poveri e mal governati diventa più un luogo di arruolamento che un posto dove si educano i più piccoli. Ma nel rapporto, sul banco degli imputati, finiscono tutti: persino il nostro Paese che, contrariamente agli standard sui diritti umani, non ha mai riconosciuto - denuncia Amnesty nel 2006 - asilo politico ai bambini soldato probabilmente sbarcati sulle coste italiane. La stessa mancanza di procedure trasparenti nel decidere le detenzioni temporanee nei Cpt ha spesso impedito una chiara identificazione dei molti minorenni che ogni anno, fuggendo dalla fame e dalle guerre, arrivano in Italia su mezzi di fortuna.

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